PASTA DIVA
AL CINEMA DA PROTAGONISTA
La pasta, specchio del costume, corteggiata da scrittori,
pittori e artisti di tutti i tempi. Ma è il cinema che le dedica
il tributo forse più bello e assiduo.
Più
che un alimento, un fenomeno. Universale: più che trasversale.
Che in Italia si identifica e si intreccia strettamente, poi,
con la storia ed il costume del paese. Poteva, allora, la pasta
non rivestire un ruolo da protagonista nel più fedele, forse,
fra gli specchi del costume di questi tempi: il cinema?
Si badi bene, non ha
dovuto attendere il cinema, la pasta, per attirare l'interesse
del mondo dell'arte. Le citazioni in letteratura sono
sterminate. Le testimonianze di passione un'infinità.
Basterebbero, per tutte, quella di Goethe in Viaggio in Italia o
quella di uno "sponsor" d'eccezione della pasta, il
compositore-gourmet Gioacchino Rossini che scrive, disperato, al
suo (pigro) fornitore napoletano firmandosi, a causa di un
protratto ritardo della spedizione, con un desolato "Rossini
senza maccheroni".
Per quanto riguarda
la pittura più recente, ci limitiamo a ricordare che la pasta ha
ispirato artisti moderni come Crista, Latella, Scaglione, Penel,
Di Raco. Ma è il cinema che le dedica il tributo forse più bello
ed assiduo.
"Borsetta nera
/ colla farina / colli facioli / e la caciotta pecorina", intona
sull'ormai invisa aria di Faccetta Nera il ragazzo che torna
dalla campagna dove ha fatto "spesa", passeggero avventuroso sul
tetto di un treno diretto verso Roma, uno dei ragazzi-verità di
Sotto il sole di Roma, anno 1944, regia di Castellani. E come
pensate che saranno finiti quella farina, quei "facioli" e la
caciotta? Pasta. E una minestra. Nel cui popolano profumo annega
un ventennio partito con ambizioni imperiali e concluso tra
fame, rabbia e catastrofi.
Sono
gli anni della guerra, piaga ancora aperta, e quelli successivi,
del difficile dopoguerra. Gli anni del neorealismo. Gli anni in
cui la poetica della fame (quella che sulla scena dei teatrini
era stata di Pulcinella) tiene banco. E la pasta è l'oggetto del
desiderio, il simbolo di un'abbondanza (e spesso di una "centricità"
del desco come sede di affetti e calore familiare ritrovato).
Ecco allora l'indimenticabile Totò di Miseria e Nobiltà danzare
come un baccante sul tavolo, con gli spaghetti in bocca e in
tasca, colto dal "donatore" in flagranza di incoercibile
appetito. Ecco la pasta e fagioli di Capannelle nei Soliti
ignoti dove, per mangiare, ci si ferma anche mentre si sta
facendo la rapina del secolo. O ancora con Totò, in Fifa e
arena, quando emigrato in Spagna e improvvisato torero ordina
"da magner, da comer. Ma roba non pesante, leggera: qualche
panino, qualche acciuga, burro, pesce, spaghetti...E ossobuco:
oh, ma solo il buco, senza l'osso. Eh no, perché l'osso non lo
digerisco".
E' la filosofia della
mangiata. Quella per la quale, in Domenica d'agosto le teglie
piene di pasta invadono strabordanti la spiaggia di Ostia. O
quella per cui in Roma città aperta, cult di Rossellini, il
nonno raccomanda al nipote promesso sposo, e alla fidanzata:
"Non litigherete mica all'ultimo momento, eh? Perché se dovemo
fa 'na magnata...". E' una logica che avrà, anche a fame
disperata finita, echi e trascinamenti. Fino all'ultima commedia
italiana (non più esattamente all'italiana) e alle Ferie
d'agosto di Virzì, con la Ferilli: a proposito, sia la Ferilli
che la Cucinotta sono state in tivù testimonial per spot di
pasta. Quel che si dice una sana rivalità.
E la saga passa per
una lunga teoria di titoli eterogenei: Pastasciutta nel deserto,
di Bragaglia, con lo spaghetto consolazione e ultimo cemento
nazionale per i soldati italiani prigionieri in Africa.
L'onorevole Angelina, con calorose abbuffate proletarie. Poveri
ma belli, idem. O il clamoroso (ed è da credere sentito)
elenco-menu recitato da Aldo Fabrizi, che di pasta si intendeva
davvero (come del resto la sorella, la Sora Lella, a lungo
ostessa a Roma) nella Famiglia Passaguai: "Magari ci facciamo un
brodo, due fettuccine, un pollo arrosto, un pezzo d'abbacchio,
alla cacciatora, un fritto di pesce, frutta dolce e caffè, e poi
magari ce famo due spaghetti ajo e ojo".
E si potrebbe andare
avanti un pezzo saltabeccano qua e là anche (un decennio o due
dopo) oltre i confini della commedia sapida, erotica e gourmand
(magari Venga a prendere in caffè da noi, con il gastronomo
Tognazzi perfettamente nel ruolo) e perfino a luci rosé, sul
tipo di Spaghetti a mezzanotte con il disarmante Lino Banfi.
È ora di
voltare pagina. E di approdare a quel "visti da loro" che è il
primo segno (di una lunga serie) della scoperta della pasta nel
resto del mondo. All'inizio, anche qui prevale il luogo comune:
pasta per rimarcare che chi è in campo in quel momento è
italiano. Tant'è vero che si chiamano spaghetti western quei
film (resi immortali dalla premiata ditta Leone-Morricone) in
cui gli spaghetti, una volta tanto, non si vedono proprio mai. E
si va avanti così un pezzo. Perfino nella inevitabile
ambientazione del pranzo del Padrino. Dall'Italia a Little
Italy. O a Londra centro, come in Spaghetti House (con
Manfredi), ma sempre da immigrati.
Ma,
come canterà Bob Dylan, i tempi stanno cambiando. O forse, sono
già cambiati. Di certo lo sono per il Jack Lemmon di La strana
coppia, un americano verace ma che sa già distinguere tra
"spaghetto" e "linguina": che classe! E Lemmon merita poi un
titolo particolare, come pasta-actor. Ricordate Maccheroni di
Scola, e la sua saudade per Napoli e i suoi sapori bandiera? E'
un testimone questo che, in tempi più recenti, va di sicuro
passato a un grande come Woody Allen: a lui la cucina italiana
piace, e nei suoi film la cita spesso. L'ultima apparizione
della pasta è in Misterioso omicidio a Manhattan.
L'omaggio forse più
risolutivo e delicato, il sigillo della trasformazione
dell'italian style of cooking, e dunque della pasta, in elemento
di distinzione, cultura, e dunque seduzione, arriva da una
sponda insospettata: la Disney. L'indimenticabile spaghetto
d'amore tra Lilli e il Vagabondo merita certo l'ironico remake
che ne proporrà Hot shot.
La
pasta fa' da tenero antidoto all'autoironia di Sordi in Un
americano a Roma, o alla Anne Bancroft ignara di dieta
mediterranea che in Pastasciutta amore mio, con Dom De Luise,
contrappone ciccia e seduzione passando però per il medium
sbagliato.
Ma qui il tempo è di
nuovo scattato in avanti. Questo è già il tempo della pasta da
single: pasta che sempre più spesso l'uomo prepara, magari per
attirare una concupita señorita ad una cena a due in casa. E'
già, anche in Italia, ormai il tempo di Sud e di un Abatantuono
che, sempre per i curiosi rimandi del mestiere, scarica gli
spaghetti di Salvatores per finirei in tivù a pubblicizzare
condimenti per pasta.
Ma i rimandi
tra scena e vita, e tra... pasta e pasta sono clamorosamente
testimoniati da quelle foto in bianco e nero che risalgono a
quando i film si giravano ancora in serie a Cinecittà. Loren,
Ingrid Bergman, Paul Newman, ancora Totò, Fellini, Masina,
Sordi, Lattuada. A mezzo busto. Piani americani. Facce celebri.
E sorrisi a trentadue denti. Tutti immortalati in questo o quel
ristorante o trattoria di Roma. Davanti... indovinate un po'?
Esatto: un piatto di pasta...
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